Il mio intervento alla conferenza programmatica del Pd di Napoli
Il documento programmatico presentato da Enrico Morando è, come lui stesso dice, una buona base di partenza. Ma è una tappa. Si apre con una immagine suggestiva: quella di Napoli capitale. Non capitale di una nazione ma di un’area geo-economica. Napoli capitale del mezzogiorno continentale. Mi sembra un tratto distintivo importante, che risponde a quella perdita d’identità che questa città ha subito negli ultimi anni. Vorrei però pertire anche io da un punto spinoso: la città metropolitana che, dal punto di vista istituzionale, non esiste. E’ inserita nella Costituzione ma alla Camera il percorso legislativo per attuarla, langue. E non per caso. Ci sono polemiche nella maggioranza, resistenze, difficoltà. Il documento Morando invita i parlamentari del Pd a dare battaglia per rendere definitivo l'assetto della nuova Istituzione di Governo Metropolitano con il varo delle norme attuative. Ovviamente io raccolgo questo invito e farò la mia parte ma non possiamo dimenticare che abbiamo di fronte una maggioranza di centrodestra con numeri ampi.
Dal momento che per la provincia di Napoli si vota praticamente domani io penso sia fuorviante costruire un programma come se la Provincia avesse già il peso e i poteri della Città metropolitana. Molte meglio tenere i piedi per terra e misurarsi con la situazione reale. La Provincia sarà, per i prossimi anni, l’ente che è oggi, con i suoi limiti, le sue contraddizioni, ma anche le sue potenzialità e le sue risorse.
Se è vero, però, che non esistono nome di attuazione sulla città metropolitana che la rendano concreta sul piano istituzionale, non possiamo negare che nei fatti la Città metropolitana di Napoli esiste già. Ed è forse l’unica vera Città metropolitana italiana. Napoli e provincia contano circa 3 milioni di abitanti. Di questi 900mila risiedono nella città di Napoli, e 2 milione e 100mila risiedono in provincia. Solo Napoli, nelle grandi aree metropolitane, vede prevalere gli abitanti della provincia su quelli della città. Questo vuol dire che chi si prepara a governare l’amministrazione provinciale di Napoli deve sapere che il processo di rilancio del capoluogo campano si costruisce nell’area vasta che va dalle pendici del Vesuvio a Cuma, dal mare alle montagne. I problemi di quest’area vasta si somigliano, certo: mobilità, mancato sviluppo, bassa vivibilità. Ma è anche vero che i vari comprensori hanno specificità fortissime. L’area stabiese è diversa da quella vesuviana; il pomiglianese è diverso dai distretti industriali di Arzano e Casoria; la corona che circonda Napoli, da san Giorgio, a sud, a Marano, a nord, a sua volta va letta dentro i problemi dei quartieri periferici di Napoli piuttosto che dentro le questioni della Provincia. E così via.
Un nostro programma per la Provincia deve saper inglobare tutte le sfaccettature e saper costruire, zona per zona, una risposta, una proposta, un progetto. Vorrei, perciò, affrontare qualche tema
Il primo è quello dannato dei rifiuti. Il documento che ci viene proposto pone un obiettivo sulla differenziata. Dice il documento: raggiungere il 30 % in tre anni. Io non so francamente come, chi si candida a governare la Provincia di Napoli possa assumere impegni rispetto alla differenziata che, com’è noto, è nei poteri dei Comuni o addirittura, secondo alcune interpretazioni, nei poteri del fantomatico Consorzio unico di bacino, che non si capisce ancora bene che contorni amministrativi abbia. Atteso, però, anche che l’amministrazione provinciale possa lavorare ad un obiettivo politico sulla differenziata muovendosi nel campo dei suoi poteri reali, cioè il sostegno ai comuni, io credo che noi dobbiamo darci obiettivi ben più ambiziosi.
Sul tema rifiuti, inoltre, dobbiamo innanzitutto riconoscere fino in fondo le nostre responsabilità. Che non sono quelle giudiziarie o morali: quelle non attengono alla politica. Parlo di oggettive, evidenti, responsabilità politiche. La responsabilità di chi avrebbe dovuto governare una questione e invece si è limitato a gestirne il potere derivante, infilando errori di valutazione, confusione gestionale, lentezza amministrativa, inefficienza e una generale sensazione di inadeguatezza ad affrontare i problemi della gente.
Cosa proporre? La differenziata, certo. Ma anche un lavoro sulla riduzione dei rifiuti. Vogliamo fare una critica anche al modello di sviluppo che ci riempie di imballaggi, di “usa e getta” e che non ha assunto la tutela della salute come punto dirimente? Vogliamo dire che innanzitutto viene la riduzione dei rifiuti, poi il riuso dei materiali, poi la differenziata. E che quello che rimane deve essere poco, pochissimo? Possiamo dire che la Provincia di Napoli, qualora fosse governata dal Pd, si impegna a incentivare le imprese che producono meno rifiuti, che usano materiali? Possiamo dire che dobbiamo fare di più che togliere i cumuli dalla strada e metterli sotto il tappeto, cioè in una discarica?
Le discariche, ecco. Noi dobbiamo avere il coraggio di assumere una posizione sul tema delle discariche. Io considero la riapertura delle discariche in Campania un segno di arretramento civile. Il Pd deve dirlo e avere più coraggio. Dobbiamo lavorare per chiuderle definitivamente e questo deve essere il nostro slogan elettorale. Dobbiamo anche assumere un impegno serio per la bonifica di quei territori che hanno subito la ferita di una discarica. L’area flegreo-giuglianese, in questi anni, ha pagato un prezzo altissimo. Da Pianura a Villaricca, dall’estremo lembo di confine col casertano fino alla cava di Chiaiano, che si trova tutta dentro quella che Saviano in Gomorra ha chiamato “terra dei fuochi”: una zona di nessuno, dove negli anni la camorra ha sversato rifiuti tossici, facendo impennare le percentuali di tumori tra le gente, e dove lo Stato quando è arrivato non lo ha fatto per dire “adesso basta, bonifichiamo” ma ha detto “visto che state combinati già così, vi apro anche io una discarica così non andiamo ad inquinare altrove”.
A quella gente, alla gente di quei territori, il Pd, anche pagando il prezzo delle sue contraddizioni, deve tornare a parlare e deve prospettargli una speranza ragionevole, che significa tempi certi per un piano di bonifica serio, con la prospettiva della chiusura degli impianti ancora attivi, e con l’assunzione di responsabilità di sviluppo per l’area.
Un altro punto che mi preme sottolineare è quello del “lavoro sociale”. Il documento che ci viene proposto punta molto sulle dinamiche economiche: la banca del sud, gli investimenti, le imprese. Confidando sul fatto che mettendo in moto la macchina economica si attivino anche dinamiche sociali virtuose. Io credo che questo sia vero ma non del tutto. La verità del disagio sociale a Napoli è più complessa. Noi non possiamo aspettare che i tempi dell’economia risanino le sacche di povertà. Dobbiamo mettere in campo, come Pd, dalla frontiera della Provincia, un grande piano di interventi sul disagio sociale: che significa servizi, che significa assistenza, che significa progettazione, che significa cooperazione con il terzo settore. In questo, dobbiamo essere capaci di mescolare le competenze dell’ente provinciale e metterle a frutto: l’edilizia scolastica, per ammodernare la rete dell’istruzione, il ruolo di cerniera disegnato sulle Province da alcune importanti leggi del sociale come la 328 e un coordinamento generale delle azioni contro la marginalità che faccia immaginare la costruzione di un Welfare della città diffusa che si contrapponga allo smantellamento del Welfare centrale ad opera del governo Berlusconi.
Un’ultima cosa la voglio dire, chiara e tonda: noi dobbiamo dire di più sulla camorra. Su questo tema non dobbiamo avere timidezze. La camorra è il vero cancro di Napoli: e non mi riferisco solo alla microcriminalità, agli scippi, alle rapine, alla droga, alle estorsioni, che pure tanta tensione sociale e allarme creano tra la nostra gente e su cui bisogna intervenire. Mi riferisco alla camorra imprenditoriale, quella che si infiltra nelle imprese, nella borghesia delle professioni, nella politica.
Quella che può essere anche in mezzo a noi.
E’ questa la camorra più pervicace e più pericolosa.
Ci vogliono parole chiare! A cominciare da questa: nessun candidato nelle nostre liste alle prossime provinciali che sia anche solo sfiorato dal sospetto di vicinanza, a qualunque titolo e in qualunque modo, ad ambienti camorristici.
Ce la sentiamo di dire una cosa così? Io sì.
Non si tratta di assumere le evidenze giudiziarie come discriminanti. Non si tratta di dire che tizio è stato condannato e quindi non va candidato. Non si tratta di dire che caio ha avuto un avviso di garanzia e non va candidato. Si tratta di fare qualche cosa di più. Guardiamoci negli occhi. Sui territori ci conosciamo tutti e sappiamo come stanno le cose. Oltre la magistratura, oltre i precedenti penali. Le storie personali, nei luoghi dove viviamo, sono note. Sappiamo tutto di tutti, diciamoci la verità. Interroghiamo i territori, investighiamo il corpo del nostro partito e diciamoci con forza: nessuna ombra sulle nostre liste. Nessuna.
Su questo terreno noi possiamo giocarci una partita importante con il centrodestra a Napoli. Quello schieramento ha un personale politico che è tutt’altro che immune da ombre. Ma non voglio entrare nel merito delle candidature del centrodestra. Parliamo di noi. Possiamo pretendere che chi si candida – almeno chi si candida con noi – a cariche pubbliche sia immune da sospetti? Noi dobbiamo avere il coraggio dell’intransigenza assoluta. Nessuna ombra. Potrebbe costarci qualche voto. Ma, a mio parere, ne guadagneremmo ben altri. Guadagneremmo quelli di chi, sulla scorta delle ultime vicende giudiziarie che hanno riguardato il Pd, ci considera uguali agli altri. Guadagneremmo i voti di chi è sfiduciato e confuso e rischia di non votare più.
Guadagneremmo i voti di chi sa premiare il coraggio e la diversità.
E guadagneremmo in dignità, che se non vale voti, vale almeno la voglia di continuare a credere nella politica.
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pubblicato da Luisa Bossa il 02/03/2009 alle ore 12.31.57